Ho già avuto modo di scrivere –
in altro contesto – di come Enzo Lomanno riesca a rallentare il tempo
attraverso il racconto poetico e di come controlli lo spazio attorno a questo.
Fin dal titolo di questa raccolta, Una piuma a Babilonia, si ha la percezione
di un discorso che racchiude distanze e misurazioni senza mezzo, quasi opposte,
micro e macro nello stesso fenomeno spazio-temporale. Si avverte la magnifica
analogia di una singola vita a confronto con la Storia e non si può ritenerlo
un atto di presunzione, bensì un accordo coerente e armonico tra l’accaduto in
sé e l’accadere come riferimento, non più antropomorfo, ma evento naturale. La
«piuma ignota» – ignota mica poi tanto – ricade sulla Storia; proprio il suo
«volo» la rende meno «ignota» e maggiormente «presuntuosa». Il fenomeno mostra
il peso insostenibile di quello che all’inizio può sembrare un nonnulla ma che,
in seguito, rivelerà effetti devastanti («Nulla / divenne nulla e confusione»)
e rigeneratori al contempo («ed io, / semplicemente, / me ne innamorai»),
attraverso un dolore che rimane sempre conduttore di riflessione e, sovente,
anche inconscio desiderio di ripresa. Centrale, in questi versi, è il concetto
di fuga, da intendersi qui come fuoriuscita dai luoghi in cui si cede alla
trasgressione. Luoghi dove sembra che ogni cosa si trovi al posto giusto, ma che
quasi sempre hanno il sapore, seppur vago, dello squallore, in particolare
quando la trasgressione stessa scade in “eccessi” che non lasciano vedere più
alcun confine. La fuga, e non come salvezza, ma come risorsa che mantiene e
contiene la personalità di un poeta, diventa allora necessaria; un sintomo di
crescita sempre presente nel lavoro del Lomanno “fattore” di poesia – a volte
estrema – che non rinuncia mai all’esperienza come idea da riutilizzarsi a
vantaggio di quella parte di umanità che non riesce a trovare punti di snodo.
Altrettanto importante è il continuo contraddittorio con la Storia, che mette
in evidenza la capacità e l’obiettività del poeta di confrontarsi con l’intero
accaduto. L’umiltà, insieme al riuscire a “vedersi” nella realtà quotidiana con
lucidità ed intelligenza, fanno di Lomanno un poeta brillante e consapevole;
l’ammissione di “colpe” in quanto uomo pone l’autore, sempre alla ricerca di
soluzioni, in una posizione di maestria atta a “dare” ogni risultato
applicabile: «forse ancora un istante / il tempo di una fuga / solo / per noi,
per voi o per lui // E non attendere / ancora quel poi / che non spieghiamo /
mai». Alla domanda «cosa significa per lei la poesia?» così risponde, in
un’intervista: «La poesia è il continuum spazio-temporale dell’azione stessa.
L’apporto che Noi diamo alla poesia è nullo, non è quello di Creatori, bensì
degli esecutori d’una volontà che si capovolge, che esiste fin tanto che è
detta, per poi mutare ed evolvere in qualcosa di diverso. Quindi la poesia non
si rappresenta attraverso me, ma sono io rappresentato dalla poesia in ogni
istante e in modo continuamente diverso». Enzo Lomanno è tra i poeti che
spiegano la parola da ogni lato, in ogni minima sfaccettatura, restituendole la
forza ed il peso che questa detiene. Non trovo lemma che non stia al posto
giusto e non abbia il suono che occorre alla sua descrizione. Spesso mi ricorda
Pier Paolo Pasolini, il quale viveva personalmente la strada per poterla possedere
integralmente. Non è certamente poeta da scrivania, frutto esclusivo di studio
letterario, ma poeta di frontiera, di quelli che l’emozione la devono vivere –
per poterne rendere, poi, testimonianza – in quel margine dove s’incontrano
amore ed odio, passione e cinismo, lasciando che si mettano a fuoco le
dimensioni reali del disagio o del benessere, della gioia come risultato del
dolore e viceversa. Non c’è mai – nei testi che compongono Una piuma a
Babilonia e altrove – separazione tra l’io poetico ed il sé uomo, bensì una
condivisione totale di realtà, nella quale pagina e vita combaciano ed
aderiscono in maniera netta. Realtà personale ed intima, ma anche realtà
partecipata e pubblica, comune a tutti gli uomini. Dai questi versi scaturisce
l’esigenza, politica oltre che esistenziale, di un mondo a misura di figli –
riadattati ad un ambiente urbano – che non presenti le enormi discrepanze
dell’epoca in cui viviamo. Da qui, a parere di chi scrive, sorge l’urgenza di
lasciarsi rappresentare dalla poesia come simbolo di “vissuto” anche nella
dimensione della lotta; pensiero che, facendosi parola, assume toni quasi
messianici di lotta a favore del rinnovamento, della ripresa di valori lasciati
marcire alla deriva di una società che certamente non basa la sua sopravvivenza
sui ritmi della natura. Per comprendere a fondo tutti i possibili esiti di
questo discorso sarebbe necessario soffermarsi su ogni singola poesia della
silloge. Cito però in questa sede una manciata di versi fondamentali: «Al di là
/ il vuoto contorno / ci resta d’eterno [...] Senza più casa / e nessuna sponda
/ da dimenticare»; e ancora: «La perdita / mi abita // La perdita / ci abita //
E la sua casa / invece / non sorge mai / troppo lontano». Ecco come Lomanno ci
invita alla riflessione, a resistere alla sopraffazione del tempo e ad evitare
le vie più facili. «Le azioni di fatto sono le parole» dice il poeta,
intendendo il lento ma efficace passaggio da un “vivere” e da un “pensare”
all’altro, nelle azioni o attraverso di esse, prodotte dell’esperienza
personale ma anche di altri vissuti, ricordandoci come l’uomo possa essere in
grado di riprendere la strada meno sbagliata. Ce lo presenta con le sue
certezze, che invogliano a percorrere i sentieri più adatti ad ognuno di noi,
permettendoci di esplorare, capire e condividere l’universo che abbiamo dentro.
Così afferma: «Ogni poeta può rivivere fatti e in qualche modo barare su eventi
mai vissuti in prima persona, ma questo non fa del poeta un fingitore. Il poeta
che, con animo sensibile, assorbe il vissuto di un altro autore è come un antico
guerriero che, dopo aver ucciso la preda, ne mangia il cuore per assorbirne la
forza e la bellezza». Lomanno ci mostra paesaggi decaduti o in decadimento,
attraverso quei percorsi che caratterizzano la polis che viviamo e lo fa con
delicatezza e crudeltà insieme, mediante accumuli di Storia vissuta o vista
vivere, ma sempre in una specie di “diretta dalla vita”. È questo il segno
distintivo della sua opera, fusione di poeta e uomo che ha affondato le mani
nel sentimento più alto come nel fango, cosi da ottenere da se stesso la
completezza dell’essere e non soltanto dell’esistere.
Una piuma a Babilonia
Ostaggi dell’amovibile,
snodiamo bellezza in fumi
come Sangue Serafino
sulle tastiere.
E contro il Metatron
le proprie virtù.
Fuse parole d’arcangeli
tra cemento e sodomia:
evolute sintassi
della prosa umana.
Dal volo di questa salvazione
una piuma ignota a Babilonia
cade nuovamente presuntuosa.
Gemella e traditrice
ci confonde.
Opponibile 2.0
Ho giurato
aprendo la finestra stamani!
aprendo la finestra stamani!
Al mondo
lascio la bocca aperta dall’arsura
lascio la bocca aperta dall’arsura
Lascio
il ferro;
l’industria meccano quantica del pollice opponibile
Il logoro frusciare delle pagine nel volto contro vento
il ferro;
l’industria meccano quantica del pollice opponibile
Il logoro frusciare delle pagine nel volto contro vento
Lascio
la tachicardica frenesia delle vene
pulsanti sale e miniere polmonari
la tachicardica frenesia delle vene
pulsanti sale e miniere polmonari
e braccia rotte
e gambe sfitte
e arterie zeppe
e gambe sfitte
e arterie zeppe
lascio
un buco sul braccio e un tappo nel culo
un buco sul braccio e un tappo nel culo
le persiane sprangate
nei viadotti ulcerosi
nei viadotti ulcerosi
o quel guaire sommesso delle notti periferia:
dove cani e tossici sorridono alla luna
dove cani e tossici sorridono alla luna
e tutto
ma proprio tutto
smette di assordare
ma proprio tutto
smette di assordare
Perdita
Un calice amaro
mi sosta in coda
e mille miglia ancora
restano per proseguire
mi sosta in coda
e mille miglia ancora
restano per proseguire
La perdita
mi abita
mi abita
La perdita
ci abita
ci abita
E la sua casa
invece
non dista mai
troppo lontano.
invece
non dista mai
troppo lontano.
Ora dimmi
Tu
che suoli scarpe al vecchio
con parole rincorse a suffragio
Tu
che suoli scarpe al vecchio
con parole rincorse a suffragio
Tu che in frantumi
bagni strade e vicoli e città
Tu che di caldo racconti,
tra pani di padri e di nonni
E di poesia, tra lampioni e cortili
bagni strade e vicoli e città
Tu che di caldo racconti,
tra pani di padri e di nonni
E di poesia, tra lampioni e cortili
Dimmi,
la perdita
ci abita?
la perdita
ci abita?
Dimmi, se Lei stessa possiede
o è lo scalzo rumore dei piedi
sul freddo mattonato della via
a dominare intervalli e silenzi
o è lo scalzo rumore dei piedi
sul freddo mattonato della via
a dominare intervalli e silenzi
Se è vuoto di questo corpo,
o solo margine bianco
pronto per il tratteggio
o solo margine bianco
pronto per il tratteggio
Vorrei sapere,
sapere
dei difetti pigionanti
Dei buchi d’ossidiana
e del salto e della caduta
sapere
dei difetti pigionanti
Dei buchi d’ossidiana
e del salto e della caduta
Dimmi,
la perdita
ci abita?
la perdita
ci abita?
O siamo noi
ad abitarla?
ad abitarla?
Strade
Non avermene se
ho raccattato merda dalle lusinghe,
se, dal per sempre felici d’ossidiana
ho scorticato principi edulcorati
di sifoni cardiaci e deviatoi.
Se
Le strade, loro amo, quasi come cielo
Manifeste, in pozzanghere fuorvianti
e fango che lercia respiro.
Le strade, loro amo, quasi come cielo
Manifeste, in pozzanghere fuorvianti
e fango che lercia respiro.
Non avermene se
Non credo in te, poiché
non l’ho fatto mai.
Non credo in te, poiché
non l’ho fatto mai.
Io credo
al giusto marciapiede
Alle giuggiole asfaltate
di quartiere.
al giusto marciapiede
Alle giuggiole asfaltate
di quartiere.
Al me
che ancora brama
sui sogni elevati
di una ferrovia.
che ancora brama
sui sogni elevati
di una ferrovia.
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