©” Concha Méndez Cuesta”
traduzione e cura di Sebastiano
A. Patanè-Ferro
Catania
2012
Introduzione
Ho cominciato a tradurre Concha Méndez Cuesta per curiosità, per capire fin
dove l’influenza di Lorca o di Alberti abbia
potuto definire questa poetessa così sconosciuta in Italia. Ma ben presto la
curiosità ha cominciato a virare verso la sua personalità, la sua vitale
poesia, fatta di immagini non ricercate, dove lo spontaneo sgorgare della
parola non si carica di logismi elittari
o surrealismi d’essai.
Si entra piano nella poesia di Concha, in punta di piedi, per non
disturbare il leggero e delicato tessuto che trattiene i ritmi e le narrazioni
che sono poi rappresentative di una parte della sua vita che ha avuto anche i
suoi lunghi tratti turbolenti. La semplicità e la libertà sono le urgenze della
Méndez: semplicità perché vuole sempre essere certa che la si comprenda;
libertà, per tentare di uscire dalla conflittuale intolleranza con quella parte
di se che, per quell’educazione medio borghese ricevuta per imposizione, si
ribellava davanti a schemi sociali che non capiva e, ovviamente, vinse questa
battaglia quella Méndez Cuesta che ci viene raccontata dai discendenti. Queste
conflittualità ed il desiderio di essere se stessa, Concha, le ha largamente
espresse nelle sue poesie in un periodo storico difficile, dove alla donna era
concesso solo di fare la “donna” ma, col gruppo cosiddetto “del 27”, Concha
Méndez riuscì a liberarsi di molte catene e, soprattutto di liberare la sua
passione. Dopo i primissimi testi, dove si avverte la presenza di un giovane
Lorca, la sua poesia comincia a prendere corpo e spessore già fin da “Surtidos”
(1928) e la poetessa assume
consapevolezza aprendo un rapporto con la parola assolutamente proprio.
Mi ha affascinato la storia di questa coraggiosa donna che ha affrontato
tre esili ed ha vissuto gran parte della sua vita lontana dalla sua terra e
delle sue “cose”, e mi ha affascinato questa sua poetica così spontanea e così
ricca di passione e di sentimenti propri della personalità ispanica. Per conto
mio, vorrei riuscire a tradurre l’opera completa di Concha, ma spero che la storia
possa dare maggior risalto a Concha
Méndez Cuesta, una donna
che ha dimostrato che niente può frenare una passione, nemmeno una
dittatura con una ideologia che si
impossessa della vita e del pensiero degli uomini.
Nota biobibliografica
Concha Méndez Cuesta nasce a Madrid il 27 luglio del 1898. Prima di undici
fratelli, Concha, la cui famiglia è benestante ma tuttavia non borghese, viene
educata in un collegio francese, dove riceve un insegnamento prettamente
cattolico e fin troppo “femminile”, educazione che la Méndez non condivideva
del tutto e che, al contrario, formava il suo carattere ribelle ed inquieto.
Comincia a scrivere versi già in giovanissima età e a 19 anni, mentre si trova
in villeggiatura a S. Sebastián, conosce
Luis Buñuel con il quale resterà fidanzata per 7 anni. Amica di Lorca e
Alberti, frequenta riunioni, letture poetiche ed esposizioni con i giovani
della generazione artistica di quegli anni, chiamata Gruppo del 27, dove Maruja
Mallo, brava pittrice e Rafael Alberti, diverranno due figure chiave per il suo
futuro letterario. Nel 1926 esce il suo primo libro “Inquietudes”, due anni
dopo “Surtidos” e nel 1930 “Canciones de mar y tierra” dove si nota l’impronta
della sua amicizia con Maruja che sarà la sua guida verso una maggiore
emancipazione. Questo è un periodo di intensa attività per le due amiche
durante il quale, nasce l’atto unico “El ángel cartero” opera di teatro infantile scritta dalla Méndez e decorata
dalla Mallo.
Viaggia per diversi paesi, soprattutto Inghilterra e Argentina. Nell’aprile
del 1931, con l’istaurazione della repubblica in Spagna Concha rientra nella
sua terra e vive un momento artistico elevato
sostenuto da un forte e sentito surrealismo. Garçia Lorca le presenta il
poeta malagueño Manuel Altolaguirre, con il quale, l’anno seguente si sposa. Testimoni di
queste nozze saranno lo stesso Lorca, Juan Ramón Jiménez, Luis Cernuda e Jorge Guillém. Ma con
l’ascesa al potere di Franco, nel 1933, è costretta all’esilio e i due
vanno a vivere a Londra, dove, dopo aver
perso un bambino nato morto, l’anno dopo
nasce la figlia Paloma.
Insieme al marito contribuisce alla diffusione dell’opera del gruppo del
27, pubblicando collezioni di poesia e riviste come Poesía, Héroe, 1616, y
Caballo verde per la poesia, diretta con Pablo Neruda. Durante la guerra civile sono esuli a Parigi
e a
L’Avana fino al 1943, dove conosce la filosofa spagnola Maria Zembrano,
esiliata anche lei e che sarà, per Concha un punto di
riferimento per le opere successive. L’anno dopo, nel 1944, col marito si
sposta in Messico, dove , poco dopo, si
separano.
“Vida y vida”, “ Lluvia enlazadas” y “Niño
y sombras” sono le tre raccolte che scriverà in questo periodo (tra il 1931 ed
il 1943).
Nel 1966 rientra a Madrid ma continua a risiedere in Messico fino alla sua
morte nel 1986. Nel 1991 vengono pubblicate dalla nipote Paloma, le sue memorie
estratte da un nastro che lei stessa aveva registrato.
Grande è il mare; ci separa…
Grande
è il mare, ci separa:
resteranno
le nostre anime congiunte.
Come
un ultimo ritratto, nei nostri occhi
impressi
brilleranno i nostri sguardi
La
barca che dovrà portarmi via sta nel porto,
a
questa seguirà l’altra perché tu vada.
Ti
aspettano le mie braccia, non so dove…
in
qualche baia a volte … in una spiaggia…
Da quale campo di grano ferito…
Da
quale campo di grano ferito
ti
presero,
mio
povero angelo caduto?
Forse
era il tuo destino
andare
tanto lontano a finire
e
per quello che tanta fretta
avevi
quando partisti?
Era
l’appuntamento in Castiglia
e quella
notte castigliana
per
accoglierti tra le sue braccia
a
quella ora ti aspettava?
Quanto
stava fuori la mia vita
mentre
la tua partiva
per
un viaggio di andata
senza ritorno senza niente!...
In
una sera, come tante sere,
e in
un grande parco di città lontana,
per
invadersi del rumore esterno,
passeggiando
stavo con me stessa.
C’era
un intenso fresco, si vedevano
sopra
i verdi i segnali d’acqua,
acqua
di primavera che da alla terra
quella
sensualità che ci esalta.
In
uno stagno del florido parco,
insieme
ad un banco di pietra verde e bianca
un
gran roseto nella penombra brillava
-la
sera quel momento declinava-
mi
sedetti a riposare e un forte profumo
sentii
che nei miei sensi s’addentrava.
e mi
raggiunse l’anima una strana angoscia.
L’ala
di un ricorso sfavillava…
Ah
si ora capisco!... Profumo di qualche rosa!...
Altro
paese!... Il mio!... Già arrivavo
a
comprendere il perché!...
Era fra le sue braccia
dove
un profumo uguale respiravo!
Erano verdi come un mare…
Erano
verdi come un mare,
con
riflessi di cielo alto.
-Come
sapevano guardare!-
degli
occhi che ricordo.
Nella
penombra brillavano
con
una luce di mistero,
come
due chiari abissi
aperti
a mille desideri.
Molte
ore ebbi vicino
gli
occhi verdi quelli,
che
imploranti mi fissavano
ed
io non li vedevo!
Oggi
che vorrei guardarli
stanno
tanto lontano… tanto lontano!
Mi sollevai anche il sogno. Cercavo…
“La vita è un cervo ferito
che le frecce danno ali.”
Góngora
Mi
sollevai anche il sogno. Cercavo
di
non sentire la ferita che bruciava.
Le
dure frecce del dolore fecero
sbocciare
in me il garofano di nuova piaga.
Correndo
di pari con il vento
ed
inseguita dall’amante fiamma,
la vita
è cervo ferito senza riserve,
che
le frecce danno veleno ed ali
Non mi capisco né mi capiscono…
Non
mi capisco né mi capiscono;
non
mi aiuta anima né sangue;
quel che vedo coi miei occhi
non lo voglio per nessuno.
quel che vedo coi miei occhi
non lo voglio per nessuno.
E’
tutto estraneo a me stessa,
anche
la luce, persino l’aria,
perché
non riesco a vederla
e
non so come la respiri.
E se
guardo verso l’ombra
dove
la luce si discioglie,
temo
di disfarmi anch’io
e
dentro l’ombra rimanere
confusa
per sempre
in
questo grande mistero
Il riso
Qualcuno ha detto che “il riso
Qualcuno ha detto che “il riso
è un
gran seppellitore”
Quindi
mi si sta interrando
perché rido ogni momento.
Si separò il mio sangue per formare il
tuo corpo…
Si separò
il mio sangue per formare il tuo corpo…
si
suddivise la mia anima per creare la tua.
e
trascorsero nove lune e tutta un’angoscia
di
giorni senza riposo e notti smaniose.
E
giunta l’ora, ti persi senza vederti.
Di
che colore i tuoi occhi, i capelli, la tua ombra?
Il
mio cuore che è una culla che in segreto ti conserva,
perché
sa che andasti e ti portò alla vita,
continuerà
a cullarti fino all’ultima mia ora.
Le braccia che ti han portato…
Le
braccia che ti han portato
non
ti lasciano scappare
per
tornare al mio fianco.
Ci
separa un grande mare
di
difficili tempeste,
e
naufrago devi arrivare
se
vuoi tornare alla mia porta
per
volerti salvare.
Braccia
che ti sottomisero
per
allontanarti da me,
a me
che si, mi salvarono!...
Quando
già non sappia di te
quanto
starei bene nella vita!,
quando
già non sappia di te.
Quando
non torni a vedermi
e le
mie ore sono solo mie
io
ritorno ad essere chi ero
lontano dalla tua compagnia:
quando
i miei occhi non ti vedono,
che
bella mi saprà la vita!
Non
mancherà chi ne sarà contento…
un
po’ perché non mi vogliono,
e
qualcuno perché mi vuole…
Tanto
sola non mi hai lasciato
sto
con me e mi basta
uguale
a come è sempre stato
Vorrei avere diversi sorrisi di ricambio…
Vorrei
avere diversi sorrisi di ricambio
e un
vasto repertorio di modi per esprimermi.
O
bene con la parola o ben con le maniere
cercare
l’abile gesto che possa farmi scudo…
e
come il gesto, cercare nella menzogna
differenti
travestimenti, ben vesti l’inganno;
e
potere senza coscienza, dare alla gente,
con
sottile manovra, la carezza del danno.
Io
vorrei e non posso! essere come gli altri,
che
popolano il mondo e si chiamano umani:
sempre
il bacio al labbro, nascondendo i fatti
ed
infine… lavarsi con tranquillità le mani
Tutto, meno che venire per finirsi
Tutto, meno che venire per finirsi.
Meglio
un raggio di luce che mai smette
o
goccia d’acqua che va in cielo
e
poi si rende al mar nelle tempeste.
O
essere aria che corre negli spazi
nelle
forme d’uragano o brezza fresca.
Tutto
meno che tornare per finirsi
come
finisce, infine, questa esistenza
vieni qui che sei ferito
vieni
qui che sei ferito
che
in questo letto di sogni
potrai
riposar con me
Vieni,
che già è mezzanotte
e
non c’è orologio del ricordo perso
che
le sue emozioni riversa
nel
mio petto addolorato
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